Intervista a Fanny Consoli – 60 anni – Ex Insegnante di Scuola Primaria e Ricercatrice Universitaria. Ora è “Chef Fanny“.
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Ho sempre amato la cucina sin da quanto ero bambina. La cucina ha rappresentato per me un luogo in cui si esaltavano tutti i sentimenti, perché era un luogo di riunione, quindi di profumi. In cucina in occasione delle feste, le nonne, le zie, si radunavano, e noi bambini eravamo coinvolti.
Nella cucina ho sempre trovato, crescendo, una grande consolazione a quelli che sono i momenti difficili della vita. Ecco perché, per me, entrare in cucina, ha anche un senso fortemente consolatorio.
Poi, invece, pian piano, ho cominciato a guardare alla cucina in maniera sempre più professionale e, un po’ per il mio lavoro, abituata a fare un lavoro di ricerca – ho insegnato all’Università per tanti anni – mi ha portato a voler scoprire la storia che sta dietro a tutti gli elementi che compongono la nostra cucina. Quindi dalle farine (la timilìa, vedi foto in basso, ndr), alla costruzione dei piatti che vengono attraversati dalla storia.
Tutti i nostri piatti che arrivano sulle nostre tavole, dal più umile a quello più elaborato, hanno in sé tutta la storia dei popoli che ci hanno dominato. I popoli ci hanno dominato, noi abbiamo preso da loro e noi abbiamo composto con la nostra genialità, col nostro gusto, con la nostra passione, dei piatti favolosi e meravigliosi.
Basti pensare ad esempio l’arancino. L’arancino ha il pomodoro che arriva dalla conquista delle Americhe e il riso, che veniva coltivato da noi. Ad esempio, ancora oggi, la famiglia Manno produce ancora del riso che è il riso Roma, perché noi siciliani il riso Carnaroli, avendo poca acqua, non possiamo coltivarlo. Sempre dell’arancino arriva la composizione della frittura che è prima araba ma poi spagnola. Come dire, l’arancino porta con se gran parte della storia dei popoli che hanno dominato la nostra terra. Come anche la cassata siciliana; ancora di più gli spagnoli ne fecero un gran trionfo.
Quindi questo excursus dalla storia al piatto mi ha molto appassionata, e da lì ho avuto una voglia di professionalizzarmi, di entrare da professionista nella cucina, per mettere sia un po’ di quella competenza, ma soprattutto la mia passione, la storia della mia famiglia, per poi farlo diventare un lavoro.
Tutti pensano che a sessant’anni siamo vecchi e invece non è così. Io credo che nella vita bisogna sempre credere e lanciarsi in nuove avventure, specialmente in questo periodo dove tutti quanti siamo oppressi dalla crisi. Io voglio credere, sperare; voglio credere soprattutto nelle mie capacità. Non credo che bisogna aspettarsi che dall’alto arrivi qualcosa. Non solo. Io credo anche che il lavoro individuale non paga; io credo molto nel lavoro collettivo. Se noi riuscissimo a lavorare tutti insieme guardando l’altro come una risorsa, e non come un nemico, la nostra società migliorerebbe moltissimo, sotto tantissimi aspetti. Torneremo ad esaltare la solidarietà che manca, il senso della comunione, ma anche quello di guardare ai nostri limiti, prima, e poi quelli degli altri; le debolezze vanno anche amate nel nostro prossimo e non solo criticate. Quindi
la cucina è per me un complesso di sensazioni, di sentimenti e grande amore.
Ho insegnato Storia del Diritto presso la Facoltà di Pedagogia dell’Università di Catania. L’esperienza che mi ha dato di più è stata quella di insegnare alla scuola primaria.
Sono originaria di Grammichele, che è in provincia di Catania, però abito a Caltagirone, la città della ceramica. Pertanto per frequentare il corso mi sono accollata ogni giorno 160 km.
Poi ho fatto anche un passaggio prima di approdare al corso professionalizzante per cuoco presso Myda. Ho seguito alcune lezioni dello Chef Ciccio Sultano. Quindi ho avuto modo di apprendere molte tecniche di cucina anche da lui, cioè presso la sua scuola; a questo punto mi sento pronta per quello che io adesso mi propongo di fare.
Progetti futuri?
I miei figli mi dicono che non ho l’età per portare avanti un’iniziativa molto particolare… volevo farmi un’ape car per offrire degli aperitivi, con champagne, ecc…, ma i miei figli non sono molto d’accordo…
I miei progetti futuri sono quella di fare il Personal Chef, cioè andare a cucinare presso le famiglie.
Poi, siccome ho una casa che si presta per grandezza, perché storicamente è un palazzetto storico, lì invece vorrei organizzare delle cene particolari, per non più di 10-12 persone, con percorsi gastronomici molto bilanciati, ognuno dei quali ripropongono la storia e la tradizione della Sicilia attraverso i piatti.
Come sei venuta a conoscenza della Scuola?
Io sono sempre curiosa, come i bambini. Un giorno facendo una ricerca online è spuntato fuori questo sito Myda Scuola di Cucina. Intanto sono stata attratta dal logo, molto simpatico secondo me e nascondeva a mio avviso qualcosa – infatti è l’acronimo del nome dei figli di Loredana (Crisafi, Docente Chef e Fondatrice presso Myda Scuola di Cucina, ndr) MYriam e DArio. Poi ho visto la foto di questa signora (sempre di Loredana Crisafi, ndr) così dolce e simpatica, e quindi mi ha ispirato fiducia. Sono andata in sede la prima volta, l’anno scorso d’estate un fine giugno. La scuola ancora non funzionava come scuola professionale e abbiamo fatto una lezione singola sui finger food, perché avevo proprio a ridosso di questa lezione un piccolo evento familiare in cui saremmo stati tanti circa una trentina. Per cui mi sono detta anziché fare dei mappazzoni, prepariamo dei finger food
Poi, con Loredana, è nato un feeling personale. Per cui quando lei mi ha detto che iniziava un corso professionalizzante mi sono lanciata; sempre per questo mio atteggiamento di volere sempre imparare, di volere sempre scoprire le cose: non sono mai certa di possedere competenze particolari o specifiche, però mi piace sempre mettermi alla prova.
Mi sono trovata benissimo con tutti anche con Mario (Casu, Docente Chef presso Myda Scuola di Cucina, ndr); si respirava clima di rigore durante le lezioni, ma devo dire anche di molta simpatia…
I miei compagni di avventura sono tutti giovanissimi… però quello che mi ha fatto piacere in tutto questo è come se si fosse abbattuta la barriera dell’età, e questa è una cosa bellissima, perché ad un certo punto ho visto che loro non mi guardavano come una vecchia befana, ma “una come loro”.
Io nella vita ho provato tante cose. Dopo l’insegnamento sono entrata a far parte di uno staff che si è occupato di promozione turistica della provincia di Ragusa. Insieme a loro ho organizzato degli Eventi all’estero. Quindi c’è stata questa promozione e del turismo relativo alla provincia di Ragusa, ma anche dei loro prodotti enogastronomici e gli eventi che raccoglievano un po’ gli artisti, gli stilisti, insomma, come dire, la “terza generazione” da portare all’estero. Insieme, infatti, siamo stati due volte in Brasile, in Cina, in Francia, in Spagna, abbiamo girato un po’ tutto il mondo.
Poi la cosa carina è che alla fine si finiva con il dirmi: “Fanny adesso cucina! Prepariamo una cosa insieme…”
Qual è il piatto che ti riesce di più?
Le cose salate un po’ tutte perché le amo più dei dolci; poi c’è la mia pasta con le sarde e il cous cous che a dire degli altri è molto buono.
Come prepari la pasta con le sarde?
Lavoro le sarde insieme alle alici, al finocchietto selvatico, l’aglio e metto anche dei pezzetti di fichi secchi bianchi, un po’ di uva sultanina e il pomodoro perché dalle nostre parti, nella Sicilia orientale, prevale l’uso del pomodoro in questo tipo di preparazione, cosa che invece in Sicilia occidentale non c’è. Loro la fanno con lo zafferano.
Chi ti sostiene nel tuo progetto?
In questo progetto mi auto sostengo. È un sogno mio, una cosa tutta mia… e chissà se si realizzerà…
Qual è la cosa in cui avuto meno difficoltà?
A parte i viaggi da e verso la scuola… l’esperienza è stata bellissima!
Quali sono gli elementi fondamentali che ti hanno deciso di entrare a far parte della scuola?
La determinazione di imparare le tecniche. Ho sempre fatto il pane in casa, ho sempre impastato la pasta. Volevo avere la conferma, da una parte che le cose che io ho sempre fatto fossero fatte bene, e dall’altra migliorare queste tecniche, con l’indicazione dello Chef Mario, che ci ha dato delle dritte anche per velocizzare i tempi di preparazione; perché il fatto di saper cucinare a casa è un conto, cucinare per gli altri e cucinare insieme agli altri, richiede intanto molto spirito di adattamento da una parte, e dall’altra la conoscenza di alcune tecniche che ti danno una tempistica per raggiungere la perfezione dell’esecuzione di quel piatto. Quindi da un lato volevo mettere a confronto i miei lati di forza, ma dall’altro migliorare i lati deboli per renderci efficaci ed efficienti al fine di quello che io voglio fare. Dovendo cucinare per altri e dovendo prepararmi a fare un lavoro da un punto di vista professionale, la cucina di casa è completamente un’altra cosa.
Ho reputato fondamentale il rapporto con lo Chef Mario Casu che da un punto di vista didattico ha – e questo lo posso dire da ex insegnante – delle caratteristiche che non sono comuni a tutti gli insegnanti. È dotato di chiarezza nelle spiegazioni, tanta pazienza e soprattutto la capacità di alleggerire i toni nel momento in cui ti deve anche dare delle indicazioni per correggere il tuo sbaglio. Ti dà una dritta, ti insegna, ti migliora e non ti fa sbagliare. Queste sono doti che non sono molto comuni…
Cosa ti preoccupa ora?
Mi preoccupa il fatto che non è detto che questo sogno possa realizzarsi, però siccome ci credo veramente così tanto, che voglio crederci… è come il film di Walt Disney “i sogni son desideri”…
Hai altri hobby passioni?
Mi piace molto l’architettura e la fotografia. Amo molto la fotografia. Sono molto affascinata dalla capacità che ha l’artista di cogliere attraverso l’obiettivo momenti di vita soprattutto espressioni della gente mentre cammina, mentre passa, mentre è seduta al bar, mentre attraversa la strada. Queste sono le cose che più mi colpiscono. Mi piace fissare un’immagine perché è come raccontare… e mi piace raccontare la contemporaneità . Attraverso la contemporaneità delle persone e degli sguardi è facile notare quelle che noi definiamo i mali della società, le carenze sociali… c’è molta solitudine. Colgo la solitudine delle persone, il silenzio, il fastidio: le cuffie, le orecchie tappate, la necessità di isolarsi e poi di correre verso non si sa dove, di non fermarsi mai…
Una delle cose che a me ha colpito tanto una sera di tanti anni fa a Roma, fu passare di fronte la grande Banca Araba. Siccome questa banca ha delle grandi volte che riescono a coprire dalla pioggia l’entrata sotto lì c’era proprio un clochard, arrotolato e avvoltolato dalle coperte. Un ammasso di cartoni che lo copriva. Tutti passavano con queste grandi automobili; quindi mi colpì proprio questo ossimoro: cioè abbiamo la banca araba, il clochard che dorme sotto, tutti che passano e nessuno che si ferma a guardare. Ho fatto infatti uno scatto – che poi è stato molto commentato – a sottolineare quest’indifferenza che ogni tanto ci coglie. E poi mi piace molto – io lo faccio in maniera hobbistica – ma ci sono grandi fotografi che riescono appunto a raccontare, come Giuseppe Leone di Vittoria. Sono uscite anche le sue raccolte; lui comincia dagli anni ’40: matrimoni, funerali, arti e mestieri. Lui ha raccontato. Io scatto fotografie, ma non sono in grado di vedere così come vede lui…
Hai un motto che ti accompagna?
Non ho un motto ben preciso. Ho avuto sempre alle spalle papà e mamma che, anche se non ci sono più (si commuove, ndr), se ci fossero stati oggi (vedi foto Esame Finale, Corso Professionalizzante di Formazione per Cuoco, ndr) sarebbero stati contenti perché sono stati sempre gli unici miei sostenitori, e dicevano sempre: “Avanti Fannuccia, non ci pensare, vai avanti…”; loro mi hanno sempre dato questo insegnamento di prendere la vita con molta forza e di non guardare proprio al passato. Il passato è passato, stamattina è terminata, andiamo avanti e guardiamo il presente con attenzione, ma anche con molta speranza al futuro. Guardare sempre con fiducia nonostante tutto. La vita ti porta ad avere tante ferite. Gente che ti delude. Però non voglio pensare che tutti siano cattivi, che tutti siano approfittatori. Sai qual è il libro che mi accompagna da una vita? Il Piccolo Principe. È il libro che mi fa pensare, mi fa guardare la vita con occhi nuovi; o “Il gabbiano Jonathan Livingston” che tutti dicevano ma non puoi volare, non puoi andare… e invece lui andava e volava. In realtà, le letture che mi hanno definitivamente rovinata, sono state le letture di Hemingway. Mio padre, quando avevo l’età di otto anni, mi regalò “Il vecchio e il mare”. Devo dire che è un libro che ogni tanto ho ripreso nella mia vita. Ed è il mio libro che mi invita a vivere la vita oggi con tutta l’allegria, la forza e con tutta la speranza. Quindi se dobbiamo essere eroi, dobbiamo esserlo oggi… perché domani non lo sappiamo…