Dagli esordi in cucina all’età di dodici anni alla prima stella Michelin nel 2019. L’executive chef di Zash e tutor del corso per cuoco Myda si racconta: «Ho rifiutato più volte il posto statale, questo lavoro per me è vita».
La passione per la cucina scorre nelle sue vene. La madre, cuoca di casa straordinaria, è stata la sua prima insegnante, nonché fan in prima fila, pronta a spronarlo da giovanissimo a fare esperienze all’estero e a sostenerlo sempre. Un uovo in camicia fu la chiave di volta della sua carriera culinaria. A soli 25 anni diventa secondo chef del Principe Cerami di Taormina. Non è difficile capire che qui, di talento, ce n’è da vendere.

A che età hai scoperto di avere passione per la cucina? Parlaci un po’ dei tuoi esordi.
«La passione per la cucina ce l’ho avuta sin da piccolino, dicevo sempre a mia mamma se potevo aiutarla a preparare i pranzi di famiglia. Ricordo perfettamente che la mia primissima preparazione, anche se può sembrare una cosa ripetitiva, è stata proprio la parmigiana di melanzane, all’età di nove anni. Mia mamma è una cuoca straordinaria, è stata lei a trasmettermi quest’arte, scorre nelle mie vene.
La mia prima esperienza lavorativa, prima ancora di entrare all’alberghiero di Giarre e di iniziare la terza media, è stata nel 1999 come cuoco per banchetti. In pratica, all’età di dodici anni, non uscivo né il sabato e né la domenica.
Fu un inizio alquanto pesante per me, per tutta una serie di motivi, e ci fu un momento della stagione in cui, preso dallo sconforto, avevo deciso di cambiare ruolo. Tornato a casa, dissi a mia madre che volevo fare il pasticcere; lei, però, mi incoraggiò talmente tanto a perseguire il mio sogno, che decisi comunque di proseguire la strada che avevo intrapreso. Infatti, proseguii lì per altri due anni.
Mia madre vedeva il fuoco della passione ardere dentro di me, è stata lei a spronarmi a viaggiare e fare esperienze lavorative all’estero.
La mia prima esperienza lavorativa all’estero fu in Svizzera, all’età di sedici anni. Fu per me la stagione più bella della mia vita, che mi lasciò il segno. Era l’anno 2001, guadagnavo l’equivalente di due milioni di lire al mese, che a quei tempi e per l’età che avevo erano tanti! Lo stipendio medio in Italia era all’epoca un milione e mezzo di lire.
Dopo 4 mesi lì, ritorno a Giarre, per frequentare il quarto anno dell’istituto alberghiero. Da quegli anni in poi ho fatto stagioni in Sicilia durante il periodo estivo e, durante il periodo invernale, dopo essermi diplomato, in Svizzera, lavorando in alberghi 5 stelle extra lusso tra cui il Gstaad Palace e lo Chalet d’Adrien; se in Sicilia ho avuto la possibilità di sviluppare le tecniche della nostra cucina tradizionale, in Svizzera ho avuto, invece, la possibilità di affinare le tecniche della cucina classica.
All’età di 25 anni ho acquisito la qualifica di sous chef al Principe Cerami di Taormina, cioè ero il secondo chef del San Domenico Palace, dopo aver lavorato a Milano.»
C’è un episodio particolare della tua carriera che ci tieni a raccontare perché ti ha toccato parecchio?
«Assolutamente sì, ed è la famosa storia dell’uovo in camicia che racconto sempre a tutti. Era l’anno 2006 ed ebbi la possibilità di essere allievo per un anno e mezzo del grande maestro Ezio Santin, presso l’antica osteria del ponte 3 stelle Michelin, a Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano.
Il menu alla carta prevedeva l’uovo in camicia con salsa al foie gras e tartufo bianco; puntualmente, all’epoca, quando preparavo questo piatto, l’uovo si rompeva e la salsa si slegava. Il piatto costava 50 euro. Un bel giorno lo chef mi diede un ultimatum a riguardo e mi disse «Noi siamo qui a pranzo, se tu oggi sbagli a preparare questo piatto, ti licenzio».
In genere a pranzo non arrivavano mai comande di uova in camicia, ma proprio quel giorno la richiesta di due commensali era proprio quel piatto che, ovviamente, sbagliai.
Allora lo chef mi prese da parte e mi disse che, arrivati a quel punto, era il caso di farmi le ossa da un’altra parte.
Io caddi nello sconforto più totale, piansi a dirotto come un bambino. Per me essere licenziato dallo chef Santin sarebbe stata la delusione più grande della mia carriera. Il pomeriggio chiamai a casa, i miei amici, chiunque, per farmi rincuorare. Giunse la sera, ero ancora sconvolto in viso perché avevo pianto tutto il giorno, appunto, rientrai in servizio all’Antica Osteria per completare la giornata e mi raggiunse la moglie dello chef, la signora Renata, che mi disse: «Ho parlato con mio marito e, siccome sei un bravo ragazzo e ti applichi tanto nel tuo lavoro, abbiamo deciso di darti una seconda chance…». Quelle sue parole mi diedero una carica incredibile, furono per me una vera e propria iniezione di fiducia: da quella sera in poi non ho MAI più sbagliato un uovo in camicia, neanche a farlo apposta!
Ho rifiutato più volte il posto statale, questo lavoro per me è vita, ci tenevo davvero parecchio a fare quella mia esperienza lì; a conclusione di essa, lo chef mi scrisse una lettera di referenze bellissima; l’ho incorniciata.
Siamo ancora in rapporti con il maestro Ezio Santin, mi fece un sacco di complimenti quando presi la mia prima stella Michelin.»
Come hai scoperto la scuola Myda? Raccontaci di alcuni docenti o ex allievi che vuoi ricordare.
«È stata la mia grande voglia di trasmettere il mio sapere a farmi scoprire la scuola. Le ricette, secondo me, non vanno portate nella tomba. Nel 2015, quando la scuola Myda era ancora nella vecchia sede (in via Gabriello Carnazza di Catania, n.d.r.) mi candidai spontaneamente per l’insegnamento e mandai il mio curriculum a Loredana (Crisafi, chef docente e fondatrice di Myda, n.d.r.).
Da lì iniziò una collaborazione che continua tutt’ora. Tra me e Loredana è maturato un rapporto bellissimo, adesso è come se fossimo fratello e sorella.
A scuola Myda ho legato molto con lo chef Mario Casu e Peppe Torrisi. Tra i tantissimi ex allievi della scuola quello che ci tengo a ricordare è Mario Contadino: ogni qual volta ci incontriamo mi sommerge letteralmente di complimenti, si commuove. Una gran bella cosa!»
Obiettivo prima stella Michelin raggiunto, sogno ambito da molti chef. Quali sono i prossimi traguardi che ti sei prefissato?
«È normale ambire alla seconda stella Michelin, se deve arrivare, arriverà. Ma il mio prossimo obiettivo è fare bene il mio lavoro: cambiare i menù di Zash ogni 3-4 mesi, soddisfare i miei commensali, andare in giro per il mondo a fare nuove esperienze e formarmi. Mi ritengo di essere in una fase di nuova crescita. A breve andrò in Messico per delle cene.
Sono entrato a Zash nel 2014, per il suo lancio.
Lavoravo in Svizzera, ritornai in Sicilia affrontando un viaggio in treno per fare il colloquio, al termine del quale avevo chiesto di essere tenuto informato dell’esito. Non avevo neanche sceso le scale da dove ero stato tenuto al colloquio che mi avevano comunicato di avermi preso.
Sono già trascorsi dieci anni meravigliosi dal mio ingresso a Zash, pieni di soddisfazione. Sono entrato l’8 aprile 2014, era martedì, lo ricordo perfettamente, e quest’anno abbiamo festeggiato il decimo anniversario. Grazie a Zash, ho avuto la possibilità di partecipare e vincere il concorso “Miglior Chef Emergente del Sud Italia” nel 2017, partecipare per due anni di seguito e arrivare in finale al secondo tentativo alle selezioni italiane del “Bocuse d’Or”, il più grande campionato mondiale di cucina.
Nel 2019 è arrivata la mia prima stella Michelin, che è stato il vero e proprio coronamento del sogno di una vita, a cui praticamente tutti gli chef ambiscono.»